“Erano tanti, i fotografi, al Jamaica. Come i pittori, gli scrittori, i cineasti, i giornalisti. O, per meglio dire, erano tanti i giovani che si erano messi in testa di fare uno di questi mestieri – e che sarebbero riusciti a farlo, e, in molti casi, anche benissimo. Per chiunque sia nato e cresciuto al Jamaica le loro fotografie più belle restano quelle là, con quattro o cinque giovani molto giovani seduti sulle poltroncine di ferro del “giardino”, o dentro, contro lo sfondo di piastrelle bianche, in vaghe pose sognanti e incomprensibili, davanti a un bicchiere di bianco e ad altre cose – cose invisibili, queste, eppure, a guardare bene, specchiate confusamente nelle loro pupille e magari anche raffigurate come enigmi da quattro soldi nelle pose di quel loro orgoglio inconsistente, fin troppo vulnerabile…”
(Emilio Tadini, dal libro Jamaica. Il caffè degli artisti visto attraverso l’obiettivo dei suoi fotografi. Milano, 2001)
Sono nato a trenta metri dal Bar Jamaica, in Via Solferino al numero 8. Sapevo che oltre agli artisti, il locale era frequentato anche dai fotografi. Tutti i miei amici erano soliti frequentare un altro luogo, dove si giocava alle carte o al biliardo, ma io ero più attratto da quel mondo... Una mattina, un signore mi avvicina, mi dice di avere bisogno di un assistente e mi domanda se sono disponibile. Era Ugo Mulas.
Ugo mi ha preso con sé e mi ha insegnato tante cose. Io sono veramente molto riconoscente all'Ugo. Mi ha mostrato come stampare, lo facevo per lui, poi iniziai a farlo anche per altri fotografi, tantissimi fotografi, da Alfa Castaldi ad Irving Penn, quando faceva dei servizi a Milano...
Sono stato con Ugo poco più di un anno e mezzo e poi ho proseguito a lavorare da solo. Scattavo moltissime foto, ma quello che mi diede da vivere, inizialmente, fu la camera oscura.
Carlo Orsi
da un dialogo con Federico Sardella nel 2008
“Erano tanti, i fotografi, al Jamaica. Come i pittori, gli scrittori, i cineasti, i giornalisti. O, per meglio dire, erano tanti i giovani che si erano messi in testa di fare uno di questi mestieri – e che sarebbero riusciti a farlo, e, in molti casi, anche benissimo. Per chiunque sia nato e cresciuto al Jamaica le loro fotografie più belle restano quelle là, con quattro o cinque giovani molto giovani seduti sulle poltroncine di ferro del “giardino”, o dentro, contro lo sfondo di piastrelle bianche, in vaghe pose sognanti e incomprensibili, davanti a un bicchiere di bianco e ad altre cose – cose invisibili, queste, eppure, a guardare bene, specchiate confusamente nelle loro pupille e magari anche raffigurate come enigmi da quattro soldi nelle pose di quel loro orgoglio inconsistente, fin troppo vulnerabile…”
(Emilio Tadini, dal libro Jamaica. Il caffè degli artisti visto attraverso l’obiettivo dei suoi fotografi. Milano, 2001)
Sono nato a trenta metri dal Bar Jamaica, in Via Solferino al numero 8. Sapevo che oltre agli artisti, il locale era frequentato anche dai fotografi. Tutti i miei amici erano soliti frequentare un altro luogo, dove si giocava alle carte o al biliardo, ma io ero più attratto da quel mondo... Una mattina, un signore mi avvicina, mi dice di avere bisogno di un assistente e mi domanda se sono disponibile. Era Ugo Mulas.
Ugo mi ha preso con sé e mi ha insegnato tante cose. Io sono veramente molto riconoscente all'Ugo. Mi ha mostrato come stampare, lo facevo per lui, poi iniziai a farlo anche per altri fotografi, tantissimi fotografi, da Alfa Castaldi ad Irving Penn, quando faceva dei servizi a Milano...
Sono stato con Ugo poco più di un anno e mezzo e poi ho proseguito a lavorare da solo. Scattavo moltissime foto, ma quello che mi diede da vivere, inizialmente, fu la camera oscura.
Carlo Orsi
da un dialogo con Federico Sardella nel 2008
004-022-35
Alfa Castaldi, Anni '60
Bar Jamaica, Milano (Italia)
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